CHIESA PARROCCHIALE DI S. MARIA DEGLI ANGELI
Il titolo di S. Maria degli Angeli compare per la prima volta nel 1851: precedentemente questa chiesa veniva indicata come “Santa Maria intra moenia” o “ S. Maria ad intra”.Essa, al centro della città, tra tutte le chiese di Acerno era la più funzionale sia per la sua collocazione sia perché, pur non essendo stata mai Cattedrale, “loco Cathedralis deservit” (funge da Cattedrale) e “ ab immemorabili” (a memoria d’uomo) il Capitolo Cattedrale vi svolgeva le sue funzioni, per cui tra i suoi titoli aveva anche quello di Vicecattedrale.
Essendo, inoltre, una delle tre
parrocchie di Acerno (le altre due erano S. Matteo e S. Marco – oggi distrutta)
la cura delle anime fu assunta dal Capitolo e la sua prima dignità,
l’Arcidiacono, ne era il Parroco.
La presenza abituale del Capitolo dei Canonici finiva col favorire anche l’affluenza del restante clero cittadino, per cui veniva trascurata la cura delle anime delle parrocchie di S. Matteo e S. Marco.
Il Vescovo Francesco Solimene (1436 – 59) per risolvere questo grave problema pastorale abolì il “Diritto di Patronato” che vincolava le chiese di S. Matteo e S. Marco, per permettere al clero di S. Maria di curare anche quelle due parrocchie. Il Diritto di Patronato era un privilegio che la chiesa cominciò a concedere dopo il pubblico riconoscimento ottenuto da Costantino (a. 313) di presentare un candidato a ricoprire un ufficio ecclesiastico, godendo delle rendite fisse ad esso legate.Tale istituto fu soppresso dopo il Conc. Vat. II da Paolo VI nel 1966 col M.P. Ecclesiae Sanctae.
Esso aveva due scopi fondamentali: quello di incrementare il culto e quello di arricchire i luoghi di culto di immagini e strutture artistiche e monumentali.
Il provvedimento, però, non sortì l’effetto desiderato; per cui, su richiesta del Marchese di Acerno Marcello Colonna, dell’Università, del clero e del popolo, il Vescovo Mons. Antonio Bonito con apposita bolla del 1504 fondeva in una le tre parrocchie, unificando le rendite e tutti gli altri proventi; di modo che tutti i sacerdoti fossero adibiti alla cura delle anime dell’intero paese e tutti percepissero gli stessi emolumenti.
In tal modo la cura fu concentrata sulla sola parrocchia di S. Maria e il Capitolo dei Canonici, che vi aveva la propria sede, assunse il ruolo di Capitolo Cattedrale Curato.
Tale provvedimento fu impugnato dall’Arcidiacono del tempo Can. don Bartolomeo Olivieri, il quale sosteneva che la cura di S. Maria spettava solo a lui in quanto prima dignità del Capitolo e perciò fece ricorso all’Arcivescovo Metropolita di Salerno perché gli fosse riconosciuto tale diritto.
Nel febbraio del 1505, però, l’Arcidiacono, essendosi persuaso che il Vescovo aveva agito per la gloria di Dio e il bene delle anime, ritirò il suo ricorso accettando quanto disposto dal Vescovo di Acerno nella bolla dell’anno precedente. Anzi si autoimpose una multa di 100,00 once d’oro qualora fosse venuto meno il suo impegno.
I servizi parrocchiali, così unificati e fusi, venivano assolti dai Canonici, divisi per ebdomade, cioè a settimane alterne.
Risolto in tal modo il problema dell’amministrazione dei Sacramenti e delle istruzioni al popolo, appariva evidente la carenza di un indirizzo pastorale unitario, per cui Mons. Camillo Aragona nel 1645, in ottemperanza ai canoni del Concilio Tridentino, fece richiesta al Prefetto della Sacra Congregazione del Concilio, Card. Pietro Luigi Carafa, di istituire una “ Vicariam perpetuam pro exercitio curae animarum” (una Vicaria perpetua per la cura delle anime) e ne ricevette il consenso. Per cui il 6 febbraio 1646 viene “designatus, electus et deputatus a Domino Episcopo mediantibus bullis” il “Vicarius perpetuus” nella persona del Rev.mus Can.us Joannes Nicolaus Curcius “ne cura animarum nobis commissa, incuria, amplius decrementum patiatur” (affinché la cura delle anime non venga ulteriormente trascurata). L’emolumento, come suggerito dalla S. C. del Concilio, è fissato in 50 ducati annui da prelevarsi dalla “massa comune” del Capitolo. In seguito, di “Vicari” ne vennero eletti due.
Alla fine del secolo successivo,
inoltre, su proposta del Vescovo Mons. Michelangelo Calandrelli, constatato che
due “Vicari” non bastavano ad
esercitare la cura delle anime “per l’accresciuto numero della popolazione e per
un maggiore servizio delle anime” il Capitolo l’8 Ottobre 1792 deliberava “che
da ora in avanti si eliggano tre parrochi annuali con la provisione di 20 ducati
cadauno”. Il 16 Ottobre dello stesso anno il Vescovo con apposita bolla
ratificava la deliberazione capitolare e decretava che tale elezione dei tre
“Vicari” venisse fatta il primo di settembre di ogni anno, per cui la cura
abituale delle anime rimaneva sempre al Capitolo.
In seguito, fino alla separazione del Capitolo dalla Parrocchia operata da Mons. Gaetano Pollio il 21 Settembre 1974, il Capitolo ha conservato la cura abituale delle anime, mentre quella attuale veniva esercitata “ a tempo indeterminato” da un canonico proposto dal Capitolo e confermato dal Vescovo.
Cappelle e altari
Oltre all’altare maggiore, collocato al centro del presbiterio intorno al quale si svolgevano le più importanti cerimonie dell’anno liturgico, numerosi altri altari erano collocati lungo le due navate laterali.
Ne tracciamo un elenco col nome delle famiglie che ne esercitavano il Diritto di patronato. Innanzitutto vi era la Cappella di S. Donato o delle Reliquie, ancora adesso la più armonica, la cui costruzione fu iniziata dal Vescovo Mons. Francesco Solimene (1611-13) e completata da Mons. Giovanni Serrano (1613-37) per custodirvi le Reliquie in possesso della Chiesa Acernese e in particolare quella della S. Croce e del Cranio di S. Donato racchiuso in un artistico fusto di argento dorato, dono del Vescovo Mons. Giovanni Francesco Orefice nobile napoletano e Vescovo di Acerno dal 1581 al 1593. In seguito questa Cappella fu riservata anche alla custodia e all’adorazione della SS. Eucarestia. In questa Cappella Mons. Pietro Paolo Bonsio fece costruire un altare con “magna icona” (una grande immagine) del fiorentino S. Filippo Neri, concittadino del Vescovo.
Lungo le navate, a partire da quella di sinistra entrando, seguivano i seguenti altari:
Altare di S. Maria delle Grazie (con Diritto di patronato della fam. Frasca)
Altare di S. Maria della Neve (con d. di p. del Primicerio Olivieri),
Altare di S. Lucia (con d. di p. della fam. Curci, poi di Marco Antonio De Angelis, infine della fam. Vestuti);
Altare di S. Maria del Monte Carmelo (con d. di p.della fam. de Potolicchis);
Altare dell’Immacolata Concezione con una recente e bellissima statua dorata “et magnae devotionis” (con d. di p. di Filippo e Giacomo de Aniello e successivamente della fam. Cempole e del Manzionario don Giuseppe Cerrone);
Altare di S. Silvestro (con d. di p. del nobile Giacomo Antonio Curcio);
Altare di S. Caterina ( con d. di p. della fam. Petrelli);
Altare di S. Margherita (con d. di p. della fam. Olivieri);
Altare di S. Giovanni Battista e l’altare di S. Maria del Suffraggio, valde pulchra (con d. di p. della Congrega della Morte e dell’Orazione);
Beneficio di S. Vito di Don Nunzio Interloia
Beneficio di S. Antonio de Vienne della fam. Interloia;
Beneficio di S. Pietro Apostolo della fam. Marco Antonio Gervasio.
Il 6 ottobre 1580 Mons. Lelio Giordano, il Vescovo che pose la prima pietra della nuova Cattedrale di S. Donato, istituisce “sacellum Divinae Mariae Pietatis” presso l’altare maggiore dalla parte destra, su richiesta dell’honorabilis Joannis Gregori Petrelli, con diritto di patronato in suffragio delle anime dei defunti, per atto del notaio Matteo Zecca.
Nel 1650, oltre agli altari o cappelle e ai Benefici di libera collazione, vi svolgono il loro culto ben 5 Congreghe:
Confraternitas laicorum et praesbiterorum Nominis Dei;
Confraternitas laicorum et presbiterorum SS.mi Rosarii;
Confraternitas laicorum et presbiterorum SS.mi Sacramenti
Confraternitas laicorum et presbiterorum Suffragiorum mortuorum;
Confraternitas laicorum et presbiterorum S. Antoni de Padua.
Nel 1840 vengono collocate le statue di S. Alfonso Maria de Ligorio dagli eredi del defunto don Andrea Cerrone, di S. Rocco e quella di S. Raffaele Arcangelo.
Nel 1843 vi è l’altare dello Spirito Santo (con d. di p. del Capitolo Cattedrale), l’altare di S. Rosa da Lima Vergine, l’altare di S. Giuseppe e l’altare Septem dolorum, cioè della Madonna Addolorata. .
Nel 1905 viene collocata per la venerazione la statua di S. Gerardo Maiella dalla Signora Concetta Salerno.
Dietro l’altare maggiore era collocato il “Coro” in noce massello, dove si riunivano i Canonici per la celebrazione dell’ufficio delle ore secondo le cadenze in cui era ripartita la giornata liturgica, che, al suono delle campane, scandiva anche la vita della cittadina. Esse erano: Mattutino e lodi (sei del mattino), terza (nove del mattino), sesta (mezzogiorno), nona (tre del pomeriggio – 21 ora) e vespri (all’imbrunire – 24 ora).
Questo coro aveva uno stallo centrale riservato al Vescovo, ai cui lati sedevano le “Dignità” del Capitolo: Arcidiacono, Primicerio, Cantore e Tesoriere, mentre gli altri Canonici non avevano uno stallo fisso.
Nel 1650 viene costruito sul lato destro dell’altare maggiore un trono ligneo in noce “quinque gradibus” (a cinque gradini) con un magnifico baldacchino.
Le cerimonie religiose si svolgevano in forma molto solenne e con larghissima partecipazione di fedeli, che erano allietati anche dal suono di un organo “ingenti magnitudine” costruito intorno al 1650.
Il clero, molto numeroso, conferiva grande imponenza alle manifestazioni religiose anche per la sontuosità dei paramenti liturgici e le variopinte fogge degli abiti canonicali (cappe e mozzette).
Intorno al 1850 il clero complessivamente oltrepassava i 40 membri, di cui 16 o 18 Canonici, di cui 4 dignità, 8 Mansionari (aiutanti dei Canonici) divisi in due collegi di 4 membri ciascuno, il primo di antica istituzione o dei Potolicchio, il secondo istituito dall’Arcidiacono Can. don Salvatore Sansone (1770-1832), illustre canonista e funzionario del Governo Borbonico.
Poi vi erano dai 9 ai 12 Sacerdoti semplici e dai 10 ai 12 Chierici e Novizi (Seminaristi).
Oh tempora, oh mores !
Don Raffaele Cerrone (da Agorà n. 10 - Marzo 2008) |